IL GIUDICE DEL LAVORO A scioglimento della riserva, Osserva Con il ricorso depositato il 2 agosto 2010 la parte ricorrente ha proposto opposizione all'ordinanza ingiunzione n. 320 del 25 giugno 2010 emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Brescia, con la quale e' stata irrogata sanzione amministrativa per la violazione degli artt. 4 co. 2,3, e 4 del d.l.vo n. 66 del 2003 per aver fatto superare ai lavoratori indicati nello stesso provvedimento la durata massima dell'orario di lavoro settimanale comprensiva del lavoro straordinario fissata in 48 ore di media con riferimento ad un quadrimestre (salvo diverse indicazioni previste dal c.c.n.l. di categoria che puo' elevare il periodo di riferimento ad un semestre o all'anno; 5 co. 3 d. l.vo cit. per aver fatto eseguire ai lavoratori pure individuati nell'ordinanza ingiunzione opposta lavoro straordinario oltre il limite di 250 ore annuali o maggior limite previsto dalla contrattazione collettiva; art. 7 co. 1 d.l.vo cit. per non aver consentito ai medesimi lavoratori nel periodo dal 1° ottobre 2007 al 26 aprile 2008 di fruire del riposo giornaliero consecutivo di almeno 11 ore per ogni intervallo di 24 ore; e 9 co. 1 d.l.vo cit. per non aver concesso ai lavoratori elencati, i medesimi a cui si riferisce la violazione ex art.4 nel periodo 1° ottobre 2007 - 30 giugno 2008 il riposo settimanale di almeno 24 ore. Con riferimento alla violazione di cui agli artt.4, 7 e 9 del citato decreto legislativo la difesa di parte ricorrente dubita della legittimita' costituzionale del regime sanzionatorio previsto nella vigenza dei decreto legislativo n. 213 del 2004 (in ragione del tempo dei fatti oggetto di accertamento, antecedente la disciplina sanzionatrice di cui all'art. 41, co.8°, d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazione con legge 6 agosto 2008 n. 133, che ha introdotto un nuovo e piu' favorevole regime in relazione la fattispecie normative ora richiamate). In particolare la parte dubita che sia rispetto il principio direttivo di cui all'art.2, co.1°, lett. c) della legge delega n. 39 del 2002. L'accoglimento della questione - nei termini prospettati dalla difesa di parte ricorrente - determinerebbe un diverso e migliore regime sanzionatorio in relazione all'applicazione degli art.9 r.d. 5 marzo 1923 n. 692 e 27 della legge 2 febbraio 1934 n. 370. In particolare va rammentato che le sanzioni ivi previste sono fissate in relazione alle violazione di cui agli art.7 e 9, infatti, in importo compreso tra €.25,00 ed €.154,00 ed €.154 ed €.1.032,00 - solo nel caso di singola violazione relativa a piu' di cinque lavoratori o, nel solo caso del r.d. del '23, per piu' di cinquanta giorni nel'arco dell'anno solare - rispetto alla disciplina del 2003 che individua in limiti compresi tra €.104,00 ed €.630,00, per ciascun lavoratore e non piu' per la singola violazione, mentre la violazione di cui all'art.4 prevede un limite minimo di €.130,00 e massimo di €.780,00 "per ogni lavoratore e per ciascun periodo". Si tratta, nella prospettiva della difesa dei ricorrenti di condotte considerate omologhe a quelle oggetto dell'accertamento in relazione al quale la convenuta Direzione esercita la pretesta punitiva, oggetto dell'opposizione giudiziale all'esame di questo giudice. Da cio' il rilievo che con la presente ordinanza di remissione e' attribuito al sindacato di costituzionalita' dell'art.18 bis d.l.vo n. co.3° e 4° d.l.vo n. 66 del 2004, prevedente che "La violazione delle disposizioni previste dagli articoli 4, comma 2, 3 e 4, e 10, comma 1, e' punita con la sanzione amministrativa da 130 euro a 780 euro, per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la violazione. La violazione delle disposizioni previste dagli articoli 7, comma 1, e 9, comma 1, e' punita con la sanzione amministrativa da 105 euro a 630 euro."'. A tale riguardo si svolgono le seguenti osservazioni. Come sopra ricordato il decreto legislativo n. 66 del 2003 e' la disciplina attuativa della legge delega n. 39 del 2002, (legge comunitaria del 2001). In particolare la legge delega, all'art.2, co.1°, lett.c) ("principi e criteri direttivi generali della delega legislativa") prevede che "... in ogni caso saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensivita' rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi.". L'art. 4 prevede: "... La durata media dell'orario di lavoro non puo' in ogni caso superare per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore comprese le ore di lavoro straordinario. 3. Ai fini della disposizione di cui al comma 2, la durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi. 4. I contratti collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare il limite di cui al comma 3 fino a sei mesi ovvero fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive/ tecniche o inerenti l'organizzazione del lavoro, specificate dagli stessi contratti collettivi". L'art. 1 del r.d. 15 marzo 1923, n. 692 prevedeva: "La durata massima normale della giornata di lavoro degli operai ed impiegati nelle aziende industriali o commerciali di qualunque natura," anche se abbiano carattere di istituti di insegnamento professionale o di beneficenza, come pure negli uffici, nei lavori pubblici, negli ospedali ovunque e' prestato un lavoro salariato o stipendiato alle dipendenze o sotto il controllo diretto altrui, non potra' eccedere le otto ore al giorno o le 48 ore settimanali di' lavoro effettivo.". A sua volta l'art.5 disponeva: "E' autorizzata, quando vi sia accordo tra le parti, l'aggiunta alla giornata normale di lavoro, di cui nell'art. 1, di un periodo straordinario, che non superi le due ore al giorno e le dodici ore settimanali, od una durata media equivalente entro un periodo determinato, a condizione, in ogni caso, che il lavoro straordinario venga computato a parte e remunerato con un aumento di paga, su quella del lavoro ordinario, non inferiore al 10% o con un aumento corrispondente sui cottimi.". Gli artt.8 e 11 (titolato "deroghe temporanee consensuali"), poi, stabilivano rispettivamente che "E' nulla ogni pattuizione contraria alle disposizioni del presente decreto. " e che "il ministro per il lavoro e la previdenza sociale potra' consentire deroghe temporanee all'applicazione del presente decreto per determinate industrie". Dalla combinata lettura delle predette disposizioni, quindi, derivava un regime relativo alla durata del tempo lavorativo giornaliero e settimanale, inderogabile se non in ragione dei limiti fissati dagli artt.8 e 11 cit. (fatti salvi i casi di forza maggiore da denunciare all'ispettorato del lavoro di cui all'art.7), la cui violazione trovava sanzione nell'art.9. L'art.4 del decreto legislativo n. 66 non si differenzia dalla disciplina previgente se non limitatamente al computo complessivo inderogabile settimanale (48 ore anziche' le 40 ore piu' due ore giornaliere nell'arco della settimana) fissando indirettamente la durata massima dell'orario lavorativo a mente dell'art.7 ("Ferma restando la durata normale dell'orario settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attivita' caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata."). Ne consegue che il limite giornaliero massimo era di 10 (8 + 2) ore nella disciplina previgente, mentre, attualmente e' di 13 (24 - 11), fatti salvi i regimi derogatori (settimanali prima del 2003 o quadrimestrali con la disciplina in commento). Si deve ritenere che pure in presenza di fattispecie parzialmente differenziate per gli elementi ora evidenziati, in base alla particolare portata del rinvio ricettizio contenuto nella previsione dell'art.2 co.1°, cit. del legislatore delegante del 2002, la violazione dell'art.4 trovi sanzione nell'art.9 del r.d. cit.: il mantenimento dell'orario medio settimanale di 48 ore, nel regime attuale, infatti, imporrebbe, nel caso di deroga non assentita, di imputare al corrispondente numero di ore settimanali, determinate rispetto al limite massimo settimanale, l'eccedenza, e quindi, di stabilire se vi sia o meno condotta sanzionabile; non diversamente si operava nel sistema previgente ove in relazione alle singole settimane era individuato l'orario eccedente. Residuano, in sostanza, quali elementi differenziatori delle due fattispecie normative il diverso spettro temporale sul quale operare la verifica (il quadrimestre o il semestre) ed il distinto limite orario settimanale, pure tenendo conto della diversa disciplina del riposo settimanale di cui all'art.9 d.l.vo n. 66 cit.). E' opportuno rimarcare, a tale proposito, la distinzione del meccanismo fissato dal legislatore delegato di selezione della previsione sanzionatrice rispetto al principio di specialita' regolato dall'art.9 della legge n. 689 del 1981 che poggia su presupposti diversi l'individuazione del regime sanzionatorio - nel caso di norme coesistenti descrittive del medesimo fatto: in tale senso Cass.civ. sez. 2, Sentenza. n. 1299 del 22 gennaio 2008 - rv. 601323): nel caso di specie il legislatore delegante, al fine di evitare da un lato lacune normative in sede attuativa, dall'altro, al fine di assicurare il permanere della disciplina sanzionatoria e non introdurre un regolamento ingiustificatamente differenziato in ragione del mero dato temporale di efficacia del nuovo regime regolatore del tempo lavorativo, ha operato rinvio al previgente sistema sanzionatorio, ove i presupposti per corrispondenza delle violazioni, natura ed intensita' delle lesioni, rimanevano invariati. Cio' posto ci di deve chiedere se il rinvio generale operato dall'art.2 alle sanzioni gia' previste per violazione "omogenee e di pari offensivita'" costituiscano utile riferimento o meno per regolare il regime sanzionatorio ne! caso di violazione delle disposizioni dell'art.4 d.l.vo cit. Al quesito questo giudice ritiene di dare risposta affermativa, dal momento che pure in assenza di perfetta identita' tra le due fattispecie (si noti che nel caso di quella vigente e' derogato implicitamente, per quanto previsto dall'art.9, anche il limite minimo dell'osservanza di un riposo settimanale) e' evidente che sotto il profilo della omogeneita' si tratta di discipline regolanti entrambe il rispetto di minimi irrinunciabili nel rapporto tra tempo lavorativo e riposo, con specifico riguardo alla proporzione settimanale che in tale rapporto deve essere tenuto nel tempo; la circostanza che il legislatore abbia calibrato da un lato con un criterio piu' elastico il limite della durata settimanale del tempo lavorativo, a fronte di un limite giornaliero piu' incisivo sulla durata massima della prestazione lavorativa, non esclude che si tratti di discipline destinate ad incidere sulla medesima materia in modo omogeneo, ossia prevedenti dei limiti massimi settimanali e un sistema di tutela che determini i meccanismi di deroga a tali limiti. Quanto all'offensivita' della violazione e' pure evidente che la disciplina di tutela da un lato tende in entrambi i casi a salvaguardare le condizioni del singolo lavoratore, senza che possa farsi derivare una diversa conclusione in relazione al differenziato regime della disciplina previgente nel caso di violazioni relative ad un numero di lavoratori superiori ai cinque (regime, tra l'altro, introdotto solo con l'art.3 del d.l.vo 19 dicembre 1994, n. 758), teso esclusivamente ad inasprire la sanzione in relazione alla pluralita' dei soggetti colpiti, all'evidenza espressiva di maggiore disvalore della condotta del datore di lavoro; dall'altro lato il regime limitativo del tempo lavorativo sancisce in entrambi casi l'abuso nell'esercizio del potere organizzativo da parte del datore di lavoro individuato, quindi, quale unico responsabile della condotta sanzionata. In sostanza pure in presenza di una discontinuita' normativa circa i meccanismi regolatori del tempo lavorativo e del rispetto dei tempi di riposo, si deve ritenere che l'unicita' della materia e delle sue ragioni fondanti, e la mera differenziata modulazione dei sistemi di conteggio dei limiti massimi e il loro diverso valore, non giustifichino l'affermazione del carattere non omogeneo delle due discipline. Omologhe considerazioni devono essere svolte in relazione alla disciplina sul riposo giornaliero (citato art.7 del d.l.vo n. 66), come incidentalmente gia' scritto, ma pure per la disciplina del riposo settimanale (art.9). La norma prevede: "1. Il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero di cui all'articolo 7. 2. Fanno eccezione alla disposizione di cui al comma 1: a) le attivita' di lavoro a turni ogni volta che il lavoratore cambi squadra e non possa usufruire, tra la fine del servizio di una squadra e l'inizio di quello della squadra successiva, di periodi di riposo giomaliero o settimanale; b) le attivita' caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata; c) per il personale che lavora nel settore dei trasporti ferroviari: le attivita' discontinue; il servizio prestato a bordo dei treni; le attivita' connesse con gli orari del trasporto ferroviario che assicurano la continuita' e la regolarita' del traffico ferroviario; d) i contratti collettivi possono stabilire previsioni diverse, nel rispetto delle condizioni previste dall'articolo 17, comma 4. 3. Il riposo di ventiquattro ore consecutive puo' essere fissato in un giorno diverso dalla domenica e puo' essere attuato mediante turni per il personale interessato a modelli tecnico-organizzativi di turnazione particolare ovvero addetto alle attivita' aventi le seguenti caratteristiche: a) operazioni industriali per le quali si abbia l'uso di forni a combustione o a energia elettrica per l'esercizio di processi caratterizzati dalla continuita' della combustione ed operazioni collegate, nonche' attivita' industriali ad alto assorbimento di energia elettrica ed operazioni collegate; b) attivita' industriali il cui processo richieda, in tutto o in parte, lo svolgimento continuativo per ragioni tecniche; c) industrie stagionali per le quali si abbiano ragioni di urgenza riguardo alla materia prima o al prodotto dal punto di vista del loro deterioramento e della loro utilizzazione, comprese le industrie che trattano materie di prime di facile deperimento ed il cui periodo di lavorazione si svolge in non piu' di 3 mesi all'anno, ovvero quando nella stessa azienda e con lo stesso personale si compiano alcune delle suddette attivita' con un decorso complessivo di lavorazione superiore a 3 mesi; d) i servizi ed attivita' il cui funzionamento domenicale corrisponda ed esigenze tecniche ovvero soddisfi interessi rilevanti della collettivita' ovvero sia di pubblica utilita'; e) attivita' che richiedano l'impiego di impianti e macchinari ad alta intensita' di capitali o ad alta tecnologia; f) attivita' di cui all'articolo 7 della legge 22 febbraio 1934, n. 370; g) attivita' indicate agli articoli 11, 12 e 13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di cui all'articolo 3 della legge 24 ottobre 2000, n. 323. 4 . Sono fatte salve le disposizioni speciali che consentono la fruizione del riposo settimanale in giorno diverso dalla domenica, nonche' le deroghe previste dalla legge 22 febbraio 1934, n. 370.". Restando ferma la regola del riposo settimanale di 24 ore, al regime derogatorio soggettivamente differenziato di cui all'art.1 della legge 2 febbraio 1934 n. 370, si aggiunge quello derogatorio riguardante il giorno della settimana in cui fruirne (art.3 legge n. 370 cit.) e le tipologie di lavorazioni o di servizi o ancora di produzioni appena sopra descritti. Anche in questo caso, quindi, non e' possibile affermare il carattere disomogeneo della nuova fattispecie, rispetto alla precedente, dal momento che il legislatore delegato si e' limitato ad estendere il regime derogatorio sia sul piano soggettivo sia su quello oggettivo. Si rende necessario, in conclusione rimettere la valutazione della questione alla Corte costituzionale in relazione alla violazione del parametro costituzionale costituito dall'art.76 Cost. dell'art.18 bis d.l.vo comm.3° e 4° d.l.vo n. 66 del 2003;